Nel 1910, a causa dell’ingente quantità di debiti accumulati, d’Annunzio è costretto a riparare in Francia per sfuggire ai creditori, che nel frattempo assaltano la Capponcina, mettendo all’asta ogni singolo oggetto nel tentativo di recuperare quanto possibile. In terra francese, il Vate arriva già come una celebrità, grazie soprattutto alle traduzioni delle sue opere a cura di Georges Hérelle.
Comincia così a frequentare i salotti mondani di Parigi, dove incontra alcune delle figure più in vista dell’epoca, tra cui Robert de Montesquiou e Marcel Proust.
Nell’inverno dello stesso anno, si ritira da Parigi ad Arcachon e, rimasto ammaliato dalle gambe della ballerina russa Ida Rubinstein, che gli ricordano quelle di San Sebastiano, concepisce l’idea di scrivere un mistero, genere teatrale di origine medievale, risalente al XV secolo.
Non bisogna tuttavia pensare che la figura e la vita di San Sebastiano siano comparse nell’immaginario dannunziano unicamente per effetto della fascinazione esercitata da Ida Rubinstein.
L’agiografia del santo esercitò da sempre un fascino profondo su d’Annunzio. Il suo interesse risale addirittura al 1883, quando il giovane poeta visse una fugace liaison amorosa con la giornalista Olga Ossani, la celebre “Febea” del Capitan Fracassa. Accadde tutto in una notte di luna piena, in un boschetto di lauri presso Villa Medici: d’Annunzio, nudo e legato a un lauro, venne assalito da baci e morsi della Ossani, che lasciò il corpo del giovane segnato da piccole ferite. Il mattino seguente, alla vista di quei segni, la giornalista avrebbe esclamato: “San Sebastiano!”, instillando nel poeta il seme per futuri sviluppi letterari.
Da quel momento in poi, la figura di San Sebastiano avrebbe continuato ad affacciarsi a più riprese nell’immaginario dannunziano, fino all’incontro, avvenuto anni dopo alla Ca’ d’Oro di Venezia, con il celebre dipinto del martire realizzato da Mantegna, visitato in compagnia di Natalie de Goloubeff, l’amante ufficiale del periodo francese. Lo stesso d’Annunzio affermerà più tardi: “Il mio culto per San Sebastiano, pel saettato atleta di Cristo, è antichissimo. Risale al periodo umanistico, della mia prima giovinezza”.
Una volta completata la stesura del “mistero” d’Annunzio si mise alla ricerca di qualcuno a cui poter affidare la composizione della musica. Sarà proprio la Rubinstein, a cui era già stata assegnata la parte del santo nell’opera, a suggerirgli di presentare il Martyre al celebre compositore Claude Debussy, proponendogli di scriverne la musica per la messa in scena.
Nel frattempo tra i due nacque una sincera amicizia, e Debussy si mise al lavoro con rapidità sorprendente su quella che si presentava come un’opera monumentale: un prologo e cinque atti, per una durata complessiva di cinque ore e mezza.
Il 22 maggio 1911 andò in scena la prima rappresentazione di Le Martyre de Saint Sébastien al Théâtre du Châtelet. La critica si divise nettamente: alcuni lodarono la musica di Debussy, ritenendo però il testo dannunziano troppo ampolloso e ridondante; altri, al contrario, affermarono che l’opera nel suo insieme, complice anche la sontuosa scenografia firmata da Léon Bakst, aveva finito per sovrastare la musica, rendendola quasi superflua.
Va sottolineato che la partitura del “mistero” è di straordinaria complessità: l’orchestra comprendeva due ottavini, due flauti, due oboi, corno inglese, tre clarinetti, clarinetto basso, tre fagotti, sei corni, due trombe, due arpe, timpani e archi. A rendere ancora più grandiosa la messa in scena contribuirono gli oltre quattrocento tra attori e ballerini impegnati nelle rispettive parti.
Le critiche non si limitarono all’opera e alla musica, ma investirono anche la messa in scena, in particolare per l’interpretazione giudicata scandalosa di Ida Rubinstein nel ruolo di San Sebastiano. La Chiesa non tardò a esprimere il proprio sdegno: che una donna, per giunta ebrea, vestisse i panni di un santo cristiano fu ritenuto un gesto blasfemo, oltre alla stessa interpretazione velatamente erotica. La reazione fu severa: tutte le opere di Gabriele d’Annunzio vennero messe all’Indice dei libri proibiti, fatta eccezione soltanto per La figlia di Iorio.
L’amicizia tra d’Annunzio e Debussy proseguì anche dopo Le Martyre, attraversando gli anni della Grande Guerra. In più occasioni, d’Annunzio scriverà al compositore per dirgli che le sue parole e il suo ricordo lo avevano sostenuto nel mezzo delle battaglie: un segno tangibile del legame profondo che univa i due grandi artisti.

TOBIAS FIOR è nato nel 1989 a Tolmezzo e vive a Verzegnis (Udine). Scrittore e dannunzista ha esordito con il romanzo Notte nel 2008. Nel 2013 ha pubblicato il saggio Questo ferale taedium vitae. La depressione di d’Annunzio, mentre nel 2018 ha curato la pubblicazione del Diario della Sirenetta e nel 2020 ha curato il romanzo inedito Una donna di Renata d’Annunzio Montanarella. Nel 2022 pubblica il romanzo Non lasciarmi la mano. Nel 2024 viene premiato con il “Premio Gabriele d’Annunzio Vate d’Italia” per il lavoro svolto su Una donna.