Alpinismo: in difesa di Marco Confortola

Assistiamo in questi giorni a una delle polemiche più accese e tragicomiche della storia dell’alpinismo. Viviamo in un’epoca ben lontana dai grandi romanticismi, dagli exploit, dalle imprese del cuore, siamo, infatti, nell’epoca in cui dobbiamo rendere conto a una telecamera di ciò che facciamo, ancor prima che alla nostra più recondita coscienza. La montagna di ieri, severa e silenziosa, ha lasciato il posto alla montagna dei mass media, dello scoop, della soap opera himalayana, è il trionfo di quei “narcisi di montagna” di cui parlava lo scrittore Nereo Zeper, accusando l’alpinismo di aver rinunciato alla vetta come ascesi, in voto alla vetta come record. In questo contesto si colloca la vicenda dell’alpinista Marco Confortola che in questi giorni è accusato di aver mentito, barato, depredato le vette. Da chi vengono queste accuse? Dai più celebri e noti alpinisti della terra, da Messner, Moro e altri, che la Tv ha glorificato e incensato. La storia dell’alpinismo non è nuova a querelle sui primati e sui trionfi personali, a partire dal celebre caso Bonatti sul K2. Bonatti, come è noto, si vide accusato dagli assalitori della vetta capitanati da Ardito Desio, accusato di aver rubato ossigeno e di aver attentato al primato italico sulla seconda vetta più alta della terra. Solo decenni (tanti decenni dopo!) le autorità competenti si sono scusate con Bonatti e fatto chiarezza sugli avvenimenti. Ma che dire allora di Cesare Maestri? Accusato di non essere mai riuscito ad arrivare sulla vetta dell’inviolato Cerro Torre in Patagonia? Decenni di inchieste, nonostante avesse perso il compagno di cordata in un tragico incidente, accusato dai più, pure da Messner, di aver mentito. Lo stesso Messner, ironia della sorte, fu più volte accusato di aver indebitamente abbandonato il fratello sul Nanga Parbat per il suo vantaggio personale. Ed ora è la volta di Marco Confortola, accusato di aver vantato tutte le 14 vette più alte della terra. Ma l’alpinismo è veramente ridotto a un banco di prova? Signor Simone Moro, è una soap opera l’alpinismo ormai? O non deve tornare ad essere quello che il filosofo Milarepa definiva come incontro con gli Spiriti aerei delle altezze? Sembra che la montagna sia ormai ridotta a un cumolo di pietre misurabili, valutabili, che il problema sia un metro in più o in meno e non l’elevazione della coscienza.

Come diceva Julius Evola nel suo celebre –Meditazioni delle vette-: “Sentire la propria piccolezza dinanzi alle immense vertigini montane è un indispensabile esercizio di umiltà cui deve fare da controparte l’impulso ad osare oltre la propria limitatezza in nome di una forza più profonda di qualsiasi abisso e ancor più alta della più alta cima.”

Abbiamo, ahimè, dimenticato questo alpinismo romantico, oserei dire, anarchico.

Anche Daniele Nardi fu accusato, dai Messner, Moro di turno, di essere un visionario, un suicida, un mistico quasi, per la sua folle idea di scalare lo sperone Mummery del Nanga Parbat, è morto, certo, ma “la vita non è il bene più alto” scriveva Heinrich von Kleist sulle rive del Wannsee prima di togliersi la vita.

Marco Confortola ha il diritto di vivere e scrivere il suo alpinismo come gli pare, ha lo stesso diritto che hanno avuto Moro, Messner, Bonatti, Maestri, e gli interpreti delle altezze. Non esiste un codice universale, esiste un appello nella coscienza, e la libertà creatrice.

Io non sono certo un alpinista, né un addetto ai lavori, ma quando vedo che tutti sono contro a uno, allora, quell’uno, va difeso, a prescindere, perché l’altezza è anche questo.

Emanuele Franz

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