Emanuele Franz: Stimato Marcello Veneziani, le faccio questa domanda. Dietro la parola natura c’è il corpo, oggi violentato, sostituito. Sempre più le macchine interagiscono e svolgono il lavoro che dovrebbe essere svolto dal corpo. Con la pandemia abbiamo vissuto l’isolamento e assistito ad una “de-corporeizzazione” quasi patologica. Fino a dove la macchina potrà infilarsi nel corpo?
Parole per alcuni orribili, per altri meravigliose, come “transumanesimo”, “post-umanesimo” ci portano a chiederci se la macchina potrà veramente sostituire il corpo o integrarsi nella biologia. Oppure bisogna porre dei limiti etici a questa ingerenza della macchina nel corpo e di conseguenza nella natura?
Marcello Veneziani: Io credo che si debba ripartire da quella che San Tommaso chiamava la “gerarchia degli esseri e dei beni”, cioè, conta molto più la persona rispetto alla macchina. La tecnica può essere uno straordinario mezzo per vivere meglio, ma se il mezzo diventa scopo, se il mezzo diventa prioritario rispetto a tutto ciò che dovrebbe essere lo scopo essenziale della tecnica, allora diventa qualcosa di degenerato. Io credo che l’attacco alla natura e al corpo umano abbia oggi due sostanziali pericoli: uno è il primato assoluto della macchina e quindi della tecnica all’insegna di una disumanizzazione integrale, e questo mi sembra essere estremamente preoccupante; l’altro aspetto abbastanza inquietante è che in sostanza la volontà personale, se non addirittura il capriccio o comunque il desiderio umano prevalgono sui limiti della condizione umana, sul fatto che noi siamo nati uomini o donne, da genitori in un luogo anziché in un altro e, attraverso quest’idea di transumanesimo, attraverso quest’idea del cambiamento anche della propria identità sessuale sulla base della propria volontà, siamo a forzare il corpo umano, la natura, i limiti che si addicono appunto alla natura umana. E questo mi sembra assolutamente aberrante. Quindi reinvestendo il problema nella sua complessità, io direi che l’uomo si trova sotto attacco da una parte da una sorta di invasamento tecnologico, cioè da una convinzione che la tecnica debba diventare tecnocrazia, cioè debba governare, comandare sull’umano, debba comandare sulla persona, debba quindi dominare sul corpo umano; dall’altra parte il corpo umano è una specie di plastilina che è al servizio della volontà del singolo, che se decide di essere altro da quello che è stato indicato dalla natura, allora può tranquillamente cambiare natura. In questo vedo il pericolo: l’incrocio tra volontà da una parte e tecnica che diventa scopo e non è più mezzo. Entrambe le cose possono essere ovviamente ricondotte a una dimensione realistica e in questa chiave è possibile immaginare che le volontà umane siano all’interno, però, di un rispetto dei limiti della condizione umana e, dall’altra parte, che la tecnica sia funzionale alla crescita spirituale, morale e anche corporale dell’uomo e non che si sostituisca al corpo, all’intelligenza dell’uomo.
Emanuele Franz: Io sottoscrivo ovviamente questa necessità del recupero del trascendente. È da chiedersi però come può avvenire questo recupero, perché è anche vero che rispetto al passato… una volta dalle Indie all’America ci si metteva mesi, mentre adesso in 24 ore ci si può spostare in tutto il mondo. Quindi con la tecnica si favorisce quest’idea di fungibilità, di sostituzione di merci e persone e questo, parallelamente, logora, sfibra anche questa prospettiva del trascendente, che è molto correlata al senso di comunità, perché io credo che trascendenza sia appartenenza. Il mondo corre sempre più veloce, tende sempre a darci questo messaggio che siamo tutti sostituibili.
Come tentare di recuperare questo senso dell’appartenenza, e quindi della differenza, della comunità, dei popoli e delle tradizioni con un mondo che non si ferma più? Cioè, questo recupero è più facile che provenga dai politici, dalla classe intellettuale o dal popolo semplice? Da chi deve venire il messaggio opposto al degrado?
Marcello Veneziani: Se dovessi dare uno sguardo complessivo a quello che sta avvenendo nel nostro pianeta e in particolare in Occidente dovrei dire che siamo di fronte a un potere globale e una narrazione omogenea al potere globale che ci racconta esattamente il contrario di quello che la natura ci indica, cioè ci racconta appunto che l’uomo è fungibile, è cambiabile, sostituibile, è cambiabile sia nella sua natura specifica sia nel luogo in cui vive, sia nel rapporto con gli altri uomini. Cioè, è un atomo che si può tranquillamente spostare dappertutto, che sulla base della sua volontà può cambiare la sua identità, e può anche cambiare la sua identità in relazione al luogo, in relazione al popolo, in relazione alla comunità. Questa è la narrazione generale, che corrisponde a un potere dominante. Dall’altra parte cosa si oppone a questo? A mio parere si oppone semplicemente la realtà e l’insorgenza della realtà, l’unica vera speranza, cioè il fatto che ci sia una sorta di ribellione dell’istinto, della passione, del corpo, dell’anima delle persone che non può accettare questo modo irreale di vivere. Cioè, la prevalenza di tutto ciò che è astratto, di tutto ciò che è lontano rispetto a ciò che è vicino, a ciò che è concreto, a ciò che è vivo, tutto ciò che viene in qualche modo costruito ideolo- gicamente, che diventa inevitabilmente prepotente rispetto alla realtà, rispetto alla vita e ai limiti della vita umana. Quindi io credo soprattutto nella insorgenza della realtà e l’insorgenza della realtà è un processo che attraversa la politica, ma che non nasce e soprattutto non finisce nella politica: riguarda ovviamente il rapporto che ciascun uomo ha con la sua società, che ciascuna famiglia ha in relazione a una società, che ciascuna comunità, dalle più piccole alle più grandi, riesce ad avvertire quando sente perdere il terreno sotto i piedi. E perciò io credo che sia un processo sociale, spirituale, intellettuale, e quindi culturale, e un processo che dall’altra parte investe anche la politica. In questo dobbiamo dire che la politica è in pauroso ritardo e i pochi soggetti che alle volte riescono a rappresentare queste istanze sono sempre soggetti innanzitutto considerati outsider, fuori dai limiti concepibili della politica attuale e quindi fuori dalla modernità, fuori dalla democrazia, fuori dalla libertà, fuori dall’Europa nel nostro contesto.
Quindi sono sempre considerati qualcosa da demonizzare. Per questo c’è una oggettiva difficoltà della politica di far valere semplicemente il peso della realtà, perché prima ancora di arrivare a una concezione della vita e quindi a una visione del sacro e della trascendenza, c’è da recuperare il rapporto semplicemente umano tra l’uomo e le cose, tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e la sua città, e c’è da recuperare un rapporto naturale. Quando ci dicono, per esempio, che noi dobbiamo amare chi viene da lontano, amare l’immigrato, noi sovvertiamo una gerarchia naturale, perché è assolutamente insito nella nostra natura umana avere una sfera affettiva che parte dal più vicino e che va verso il lontano e non il contrario.
È inevitabile che noi avvertiamo una premura particolare nei confronti dei nostri padri, dei nostri figli, dei nostri fratelli, e poi dei nostri concittadini, e poi dei nostri connazionali o con-territoriali, per così dire. Quindi abbiamo un’inevitabile e naturale propensione a partire dal vicino e andare verso il lontano. Questo schema ideologico che invece vorrebbe invertire le cose e dire che noi dovremmo sentire più compassione per l’umanità e magari più indifferenza nei confronti di chi ti è vicino è, a mio parere, ciò che sta minando le comunità, le città, le nazioni. E quindi credo che sia questo il processo da valorizzare, è l’insorgenza della realtà. Ed è un mistero come questo possa avvenire: è una combinazione di fattori umani, di fattori sociali, vorrei dire anche di fattori imponderabili, un tempo si sarebbe detto della Provvidenza, ma comunque di fattori che intervengono per correggere il tiro di questa umanità che viceversa è politicamente corretta.

L’intervista al filosofo e scrittore Marcello Veneziani, a cura di Emanuele Franz, è tratta dal libro:
Titolo: Dialoghi sull’Identità di Emanuele Franz
Con le interviste a: Noam Chomsky, Sua Santità il Dalai Lama, Aleksandr Dugin, Giulietto Chiesa, Diego Fusaro, Alain de Benoist, Vittorio Sgarbi, Reinhold Messner, Antonino Zichichi, Piergiorgio Odifreddi, Marcello Veneziani, Massimo Fini, Angelo Branduardi, Vito Mancuso, Guido Tonelli, Mauro Mazza, Urgyen Norbu Rimpoche, Hivshu Robert E. Peary II, Franco Cardini
Editore: Audax Editrice (www.audaxeditrice.com)
Pagine: 214
Dorso: 15,12 mm
Formato: 14,8×21 cm (A5)
Codice ISBN: 978-88-96144-94-7 Prezzo di copertina: 25 euro
Data di pubblicazione: 18 marzo 2024
Per consultare l’intervista integrale è possibile acquistare il libro al seguente link: https://www.amazon.it/dp/8896144949
